
Quello che colpisce molto nella pittura di Serena Maffia è l’apparente contraddizione tra una pittura di grande impatto, quasi violenta, dove il rosso viene profuso a larghe mani e dove le immagini suggeriscono e dettano forti emozioni e dall’altra il suo tratto: sottile e precisissimo, quasi chirurgico o calligrafico. Mai indeciso, mai composto da più linee sovrapposte. Se si vedono le sue opere riprodotte attraverso il formato del display di un cellulare, viene da pensare che siano disegnate in punta di pennino e con l’utilizzo della china o dell’inchiostro. Sembrano schizzi, schizzi che prendono il sopravvento e diventano veri e propri quadri. Qui in mostra appaiono quello che realmente sono: delle tele, quasi tutte di grandi dimensioni .
Il tratto appare in tutto il suo nitore: interessantissimo l’uso del pennarello indelebile, che non ammette ripensamenti. E le donne che occhieggiano dalle pareti appaiono come fantastiche icone , sintesi di ironia e di estro caricaturale. Le vediamo definite da aggettivi:

romantica, arrabbiata, bella, impegnata, limpida, emozionata, sincera, giocherellona, innocente.
In esse l’autrice gioca con delle figure retoriche e continuamente assistiamo a slittamenti di significati.
L’innocente è un ossimoro: la donna è l’innocente, ma è ricoperta di sangue ed il sangue è rappresentato con uno smalto purpureo estremamente materico e brillante ma nello stesso tempo è la colpevole: la sua mano stessa brandisce un coltello con il quale risulta aver appena ucciso un uomo di cui si percepisce il cadavere sotto uno strato di rosso.
La scena è rappresentata con una grande maestria grafica che è una delle cifre distintive dell’artista. Un grande volto campeggia la scena ma il riquadro superiore illuminato, come se ci fosse un occhio di bue, rende estremamente teatrale la scena.
La mostra, allestita nell’occasione della festa delle donne alla biblioteca Elsa Morante, ha per titolo : “Razionalità emotiva” e riesce ad indagare in modo magistrale e a mettere a nudo la fragilità della donna: perennemente in lotta con il suo cuore, l’organo che rappresenta la sua capacità d’amore e di sentire le emozioni, ed il suo cervello. Un procedimento metonimico è alla base del processo creativo della poliedrica artista così che il cuore esce dal suo ambito, invade tutto lo spazio ( sia nella donna emozionata, sia nella tutta cuore appunto , diventando a volte eccessivamente ingombrante, così ingombrante da dovere essere espulso, partorito. Il cuore diventa il volto della donna che sembra uscire nella sua posa dall’iconografia classica delle veneri distese , strizzando l’occhiolino alla Maya o all’ Olimpia.
Ma c’è un altro organo che esce dalla sua collocazione e viene rappresentato con un segno molto particolare che ricorda a volte la grafica di Kolo Moser o di certi esperimenti della secessione viennese, diventa un sole che sorge dall’acqua o la decorazione di un vestito: l’occhio, alludente alla capacità indagatrice ed analitica propria dell’universo femminile. Gli occhi delle eroine di Serena non sono mai uguali, mai in asse. Portano tutti una ferita, un deformazione, un’anomalia. Bellissimo l’occhio grande dell’innocente che sotto lo smalto rosso che gronda sulla tela lascia intravedere la pupilla, l’iride, le rime palpebrali e le ciglia nel dettaglio rese con quel suo tratto sottile e deciso; è una delle opere più potenti ed enigmatiche. Più fumettistiche le ultime donne che compiono e portano alle estreme conseguenze il processo di dissacrazione del rapporto donna uomo. L’uomo che è spesso l’oggetto delle pene amorose della donna, è il grande assente in quest’universo femminile, di donne rappresentate con grandissima ironia . Non appare in nessuna delle opere in mostra. , o meglio appare in modo molto anomalo e sempre parziale. E’ il caso dell’impegnata, dove una donna è colta nello sforzo, messo in evidenza anche dai fasci di tendini ai lati del collo, di espellere quello che all’inizio sembra un feto, ma poi appare nelle proporzioni decisamente un individuo adulto, con il fallo d’oro. La signora in questione è ironicamente ritratta nell’atto di compiere quello che non a caso viene definito un bisogno: quello di evacuare il maschio, l’oggetto dei suoi tormenti.

E ancora solo un membro, un membro smembrato, potremmo dire, continuando nei giochi di parole tanto cari all’artista , nelle due opere che chiudono il percorso espositivo dal contenuto più dissacratorio ed irriverente. La prima è la giocherellona: ancora una donna, in posizione quasi da equilibrista o da ballerina, con una mano si afferra la punta di un piede e con l’altra gioca, con un inequivocabile fallo. Ancora l’ultima: l’arrabbiata. Anche qui un evidente e sarcastico gioco di parole:” Arrabbiata con carne” recita il titolo.
La protagonista di questa tela, che sembra quasi una vignetta, mangia una pasta all’ arrabbiata nel cui interno è deposto anche qui un inconfondibile attributo di virilità.
Le donne di Serena Maffia presenti in questa originalissima mostra sono affascinanti perché svelano tutte un segreto che non appare immediatamente ed ha bisogno di essere cercato, con occhio, cuore e cervello. Vanno lette come delle crittografie ed in esse è evidente oltre ogni misura che l’artista probabilmente le ha concepite come un grande Divertissement che ci comunica emozione e riflessione.
